6 domande sulla questione Israelo-palestinese

La cosiddetta "questione Israelo-Palestinese" sbuca puntualmente dal cilindro come le cartelle pazze di Equitalia.
Dalla prima gragnola di proiettili/razzi/missili/sassi si accende il dibattito sui vari media e nella comunità internazionale. Dibattito su cui Chomsky ed Herman avrebbero (ci scommetto) molto da dire.
In effetti tutto il conflitto, con tutte le sue derivazioni ideologiche, storiche e politiche, nonché il modo in cui viene raccontato, travisato o nascosto agli occhi dell’opinione pubblica mondiale sembra l’archetipo della disinformazione, della doppia morale e della propaganda.
Ci sono sempre determinati quesiti che vorrei fare ai vari attori che puntualmente riempiono la vera tribuna politica italiana (come ebbe a dire Andreotti, Porta a porta è la terza camera).
Alcuni sembrano essere esponenti di cellule dormienti, pronte ad entrare in azione non appena ci sia puzza di carne bruciata (palestinese, s’intende). Altri infestano da sempre la scena politica, e sono quelli che in due parole vorrebbero spiegare l’intero conflitto con un tono mielosamente ed insopportabilmente didascalico. Altri ancora sono i c.d. terzisti o personaggi sedicenti di sinistra, che per ragioni varie devono accreditarsi in qualche modo agli occhi di qualcuno.
Ad ogni modo, le domande sono queste:

  1. Perchè Israele attacca puntualmente nel bel mezzo di una crisi politica o di un passaggio di consegne al vertice negli Stati Uniti?L’operazione "piombo fuso" è scattata proprio nell’interregno tra l’anatra zoppa W. e chi si proponeva di cambiare radicalmente la politica americana sul medio-oriente. E’ una coincidenza?
  2. Perché il numero di morti non deve essere importante? Lo è sempre stato, sempre lo sarà.Il numero dei morti non può essere utilizzato per stabilire sic et sempliciter chi ha ragione e chi ha torto, ma forse (forse) può fare la differenza tra omicidio e strage, tra guerra e carneficina, tra rappresaglia e genocidio.
  3. Se è vero il bilancio dei morti tra Israeliani e Palestinesi (la quasi totalità dei morti Israeliani è ascrivibile al c.d. "fuoco amico"), come può questa chiamarsi "guerra"? Chiamare le cose col proprio nome è il primo passo verso la saggezza, dice un Tao cinese. E allora, 1200 morti contro 3 come si chiama?
  4. Perché la creazione di uno stato palestinese con dei confini (seppure provvisori) deve essere visto come il fine e non il mezzo della risoluzione di tutta la questione? Il dialogo al mio paese si fa tra due entità di pari grado e dignità. Lo stato per i palestinesi non deve essere la carota finale (mi si passi il neologismo), ma il primo punto da cui partire, la conditio sine qua non per la risoluzione del conflitto. Le condizioni non può dettarle il più forte, ma la comunità internazionale.
  5. Perché Israele può essere uno degli stati più potenti (militarmente parlando) della zona e del mondo e la Palestina non può ricevere e/o possedere armi? Come può una qualsiasi autorità avere il monopolio della violenza (vedi a Gaza) se non ci sono armi? E come può difendersi da un attacco esterno?
  6. Perchè "la democrazia del medio-oriente" può arrogarsi il diritto di decidere il proprio interlocutore politico, interferendo con libere e democratiche elezioni?

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